Descrizione
Lazise – Capoluogo
Lazise (Lasise in veneto) è un comune di 6.779 abitanti in provincia di Verona.
Situato sulla sponda orientale del lago di Garda. Questa collocazione geografica gli conferisce una posizione di grande pregio paesaggistico, ma sono presenti anche elementi di grande pregio architettonico e di notevole importanza storica.
Oltre a queste peculiarità Lazise può contare sulla presenza di una fonte termale a Colà, di parchi dei divertimenti (Canevaworld e Gardaland, quest’ultimo situato in parte sul territorio di Castelnuovo del Garda, dove ha sede, e in parte sul territorio di Lazise) e un esteso paesaggio agricolo collinare.
Colà e Pacengo sono le due principali frazioni del Comune.
Del comune di Lazise fanno parte anche le frazioni di Bonedimane (3,93 km), Ca’ Isidora (3,71 km), Canova Saline (2,33 km), Cola’ (3,07 km), Confine (6,86 km), Donzella (3,86 km), Fontana Fredda (4,48 km), Fossalta (2,33 km), Gasco (3,80 km), Mattarana (5,46 km), Mondragon di Sopra (1,31 km), Mondragon di Sotto(1,27 km), Pacengo (4,30 km), Palu’ dei Mori (1,54 km), Pigno (5,17 km), Pissarole (1,26 km), Praia (5,43 km), Riare (3,93 km), Roarlongo (3,33 km), Rocchetti (0,76 km), Saline (2,38 km), San Faustino (2,13 km), Tende (3,94 km), Valesana (1,09 km), Valrobbia (4,64 km), Vanon (1,75 km), Villaggi Santi – San Fermo(1,99 km), Zuliani (1,72 km).
Il numero in parentesi che segue ciascuna frazione indica la distanza in chilometri tra la stessa frazione e il comune di Lazise
La Dogana è certamente l’edificio che più rappresenta Lazise e la sua storia; essa, a differenza di altre costruzioni come il castello scaligero, ha avuto, e continua ad avere, un ruolo eccezionale di continuità nello sviluppo delle relazioni culturali. Civili ed economiche della Comunità lacisiense e dell’intero bacino gardesano.
Costruita da Cangrande della Scala agli inizi del 1300 per collocarvi il proprio naviglio, divenne successivamente vero e proprio Arsenale per opera della Serenissima Repubblica di Venezia che decise di collocarvi una importante flotta armata, sempre pronta alle funzioni di presidio e di lotta contro i Visconti di Milano e contro l’alleanza della Lega di Cambray.
Nella prima metà del 1500 fu trasformata in Tezone per la produzione del salnitro, sostanza impiegata per la fabbricazione della polvere da sparo.
Solo agli inizi del 1600 l’edificio venne trasformato in Dogana per la custodia delle mercanzie che la Serenissima Repubblica decise di far arrivare dal mare verso il lago, seguendo una via più corta e meno costosa.
Lazise divenne così crocevia di rilevanti interessi economici tra il Veneto, il Trentino e la Lombardia trovandosi al centro di un fiorente mercato e realizzando una notevole prosperità economica per l’intera Comunità.
Dopo l’infausto avvenimento della peste nel 1630, il tramonto della Serenissima Repubblica, gli effetti negativi dell’invasione francese, la Dogana vide diminuire sempre più i propri traffici che cessarono definitivamente nei primi anni della seconda metà del 1800.
Divenne, quindi, stabilimento per la filatura del cotone, fino alla sua trasformazione in Casa del Fascio sotto il regime fascista.
Ma il destino della Dogana, quale araba fenice, è quello di risorgere sempre a nuove prospettive che la stessa Comunità, per propria intelligenza e valore, ha voluto fortemente aprendo un futuro di grandi prospettive civili, culturali ed economiche.
Grande merito di tale rinascita va certamente all’impegno dell’ex Sindaco Luca Sebastiano, a quello della sua Giunta e a quello degli attuali pubblici amministratori.
Il magistrale restauro effettuato colloca la Dogana in una prospettiva luminosa di nuove attività legate al turismo congressuale, a quello artistico-culturale, a quello espositivo-museale, a quello concertistico-musicale, pur rimanendo punto di riferimento per le necessità di rappresentanza civica dell’intera Comunità di Lazise, Colà e Pacengo.
Il nuovo contenitore congressuale si inserisce, pertanto, fra le maggiori strutture della nostra Regione divennendo, sotto il profilo storico-paesaggistico, un unicum di incomparabile bellezza e di inestimabile valore architettonico.
Il castello di Lazise fu costruito da Cansignorio della Scala, tra il 1375 e il 1391, per rafforzare i confini occidentali della Signoria.
La rocca, che porta i segni delle bombarde impiegate dai Visconti nel 1439-1440, fu incendiata e abbandonata dai Veneziani durante la guerra di Cambrai, mentre il porto militare verrà parzialmente interrato alla fine del secolo scorso. Il complesso non ha subìto modifiche radicali. In origine il mastio terminava con una loggia coperta; la seconda torretta merlata fu aggiunta durante i restauri ottocenteschi. Addossato al lato orientale del cortile interno vi era il palazzo del capitano, ricordo della Repubblica Veneta, di cui rimangono alcune tracce di affreschi.
Nella seconda metà dell’Ottocento Giovanni Battista Buri, figlio di Giovanni Danese, uno dei fautori del giardino all’inglese a Verona, acquista e restaura la rocca scaligera, ormai in rovina, circondandola di un meraviglioso parco. Il castello diviene punto focale di un giardino con corsi d’acqua, prati e viali che offrono prospettive sempre nuove. Nel parco Bernini si realizza l’ideale romantico che vuole coniugare il fascino della natura con l’amore per il Medioevo; se altrove finti ruderi vengono ideati nel cuore di molti giardini, a Lazise un’autentica “rovina medievale” si specchia nelle acque del lago, altro elemento caro alla sensibilità del secolo scorso. Al conte Buri si deve la costruzione della grande villa con fronte merlato sul lago e con un lungo prospetto verso il giardino
La cinta muraria
La cinta muraria, con sei torri difensive e tre porte d’ingresso, circonda il cuore più antico del comune. E’ stata probabilmente edificata dopo il 1077, quando ne fu concesso l’innalzamento da parte dell’imperatore Federico IV. Fu fortificata e restaurata successivamente da parte degli Scaligeri, che aprirono anche le tre porte: quella orientale, chiamata Porta Superiore (ora Porta San Zeno), quella meridionale (detta Porta Lion, per lo stemma della Serenissima murato) e quella settentrionale, chiamata Porta Nuova (oggi Cansignorio), che porta la targa con la data “maggio 1376”, anno dei restauri scaligeri. Bisogna segnalare che, fino al 1924, le torri presenti erano sette: la Torre del Cadeno, posta a fianco della Dogana e che serviva a proteggere l’imbocco del porto vecchio, sarà abbattuta in quell’anno per innalzare il monumento ai caduti.
Il Torrazzo
Eretto nel X secolo, è l’ultima torre rimasta della prima cinta muraria di Lazise. Fu trasformato in torre campanaria nel 1777, mozzata della cima.
Successivamente, con la costruzione del cimitero, divenne una cappella funeraria privata. Pregevoli sono gli archetti pensili con decorazione geometrica che segnano il marcapiano originale e il Crocifisso (o l’Orante), un graffito a scavo con rappresentato un uomo a braccia aperte.
Chiesa di San Zeno e San Martino – Parrocchiale di Lazise
Le prime notizie di questa chiesa si trovano su un documento del 1295: sicuramente fu edificata nel periodo dell’arte romanica. Era la chiesa sussidiaria alla pieve di S. Martino, le sue dimensioni erano ridotte e tozze ed era usata dalla popolazione per comodità e per sicurezza essendo dentro le mura. Nel 1528 i Lanzichenecchi di Carlo V misero a ferro e fuoco Lazise, distrussero la pieve di S. Martino che da quel momento venne abbandonata perché era esterna alle mura e la chiesa di S. Zeno divenne parrocchiale con l’aggiunta della dedicazione a S. Martino.
Verso la fine del Settecento gli abitanti e il parroco di Lazise diedero l’incarico all’arch. Luigi Trezza di progettare l’ampliamento della chiesa, in stile neoclassico come andava di moda in quel tempo. I lavori furono subito interrotti per lo sconvolgimento civile causato dalla calata dell’esercito rivoluzionario francese. Ripresero nel 1821 e la parte preponderante dei lavori furono eseguiti tra il 1837 e il 1840 con grande partecipazione di popolo nel reperire le pietre dalle cave vicine.
Da due anni sono in corso lavori di restauro radicale poiché si era reso necessario il risanamento delle fondamenta e dei rivestimenti; ora, a lavori quasi ultimati, si può ammirare nella sua luminosità e grandezza.
Chiesa di San Nicolò al Porto
Gli Originari di Lazise costruirono questa chiesa nel XII secolo e la dedicarono a S. Nicolò da Bari, protettore dei naviganti. In origine l’abside era di forma semicircolare, tutta decorata a fresco. Nel 1595 la confraternita della Disciplina la demolì per costruire l’attuale di forma quadrangolare. Fu in questa occasione che il Comune, in segno del suo patronato, impose che fosse posto nella chiave di volta lo stemma e la sigla C.L. MDXCV.
Tra la chiesa ed il porto esisteva un atrio a forma di portico sotto il quale venivano scaricate le merci e si rogavano gli atti notarili, formando un unicum con le attività commerciali della vicina Dogana. Il portico fu demolito nel 1792 poiché era divenuto un ricovero per animali, di reti da pesca e dormitorio pubblico.
La chiesa era sede di una confraternita che il governo del Regno Italico nel 1806 sciolse, tentando di incamerarla; il Comune riuscì a conservarne la proprietà e a convertirla successivamente ad usi profani.
Finalmente nel 1953, per volontà dell’Amministrazione comunale, la chiesa subì un notevole restauro, ritornò al culto e fu dedicata alla memoria dei caduti di Lazise. Sotto gli intonaci furono scoperti diversi lacerti di affresco raffiguranti santi della venerazione
popolare; lo stile è del XIV secolo ed evidente è la tecnica della scuola giottesca. La madonna bizantineggiante del tabernacolo esterno è giudicata invece del XIII secolo ed è stata portata alla luce nel 1926. Alla sua sinistra c’era una volta un grande affresco di San Nicolò, ora quasi interamente scomparso.
Chiesa dei Santi Fermo e Rustico
Si trova poco lontano da Lazise, lungo la strada che porta a Calmasino. La dedicazione ai Santi Fermo e Rustico e le prime fondamenta rinvenute nel corso dei lavori di restauro, fanno risalire l’edificio ai primi secoli del Medioevo.
L’attuale struttura risale al 1571, quando la comunità di Lazise, proprietaria dell’immobile,
promosse un radicale restauro finanziato con i proventi delle multe pagate dai ladri di uva. La chiesa venne ampliata ed innalzata. A testimonianza di questi lavori rimane una lapide posta sopra la porta d’ingresso.
Sopra l’unico altare, nel 1625 fu collocata la pala dei martiri Fermo e Rustico in atteggiamento di venerazione dinanzi alla Madonna col Bambino: tale pala, dipinta da Giovanni Camuzzoni di Verona per conto del Comune, fu tolta nel 1921. Vi si celebrava nella festa dei santi titolari e, almeno per un certo periodo di tempo, nei venerdì del mese di maggio per implorare la benedizione divina sul lavoro e sui prodotti dei campi. A tali celebrazioni partecipava processionalmente tutta la comunità con i reggenti del Comune.
Nel 1719 fu affidata all’eremita padre Maggio da Cles per il quale fu costruito l’adiacente romitorio. A lui successero altri eremiti.
Nel 1806 il governo del Regno italico tentò di incamerarla: ma il tentativo fallì per l’intervento del Comune che seppe far valere i suoi diritti di proprietà. Il Comune la conservò per un certo tempo come lazzaretto in caso di epidemie: poi fu ceduta in affitto a privati che la usarono come ricovero di attrezzi agricoli e stalla.
Attualmente, per iniziativa dell’Associazione culturale Francesco Fontana, l’Amministra-zione comunale ha approvato il restauro dell’edificio al fine di restituire la chiesa al culto.
Villa La Pergolana
Le origini di questo complesso risalgono al XV secolo; nel 1500 il Comune di Lazise affida il romitaggio della Pergolana ai frati francescani che edificano un piccolo convento e una chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie. Nel 1856 Rosanna Cavazzocca diventa la nuova proprietaria e dopo pochi anni inizia la radicale trasformazione del convento e dei terreni attigui in residenza di villeggiatura. Verso il 1870 l’arch. Giacomo Franco progetta la nuova villa. Egli mantiene la chiesa e trasforma il chiostro dell’antico convento nel cortile interno dell’edificio padronale. Contemporaneo alla villa, il parco romantico degrada verso il lago con viali che sfumano le modulazioni del territorio; le essenze pregiate, sapientemente disposte, offrono sfumature e colori sempre diversi nello scorrere delle stagioni.
La chiesa, per secoli centro di un’intensa vita religiosa, poteva vantare una pala all’ Annunciazione attribuita al Brusasorci, due grandi tele di Sante Prunati raffiguranti la Natività e l’Adorazione dei Magi, una statua lignea della Vergine risalente al XV secolo, molti ex-voto su tavola con scene di vita legate alla pesca e al mondo agricolo. Tutto questo patrimonio è andato disperso negli anni settanta quando, dopo l’alienazione da parte dei conti Cavazzocca Mazzanti, l’intero complesso fu oggetto di spoliazioni e vandalismi: Il recente restauro ha permesso di salvare quanto rimaneva, in particolare l’affresco dell’Assunzione di Paolo Caliari il Giovane che campeggia nel soffitto.
La Pergolana è legata al ricordo di Vittorio Cavazzocca Mazzanti, originale uomo di cultura, che in questa villa si dedicò allo studio e alla scoperta del territorio gardesano e veronese.
Corte Saline
Lungo la strada provinciale Verona-Lago, a due km da Lazise, Corte Saline dei conti Fratta Pasini mantiene intatto il fascina di un complesso agricolo, familiare al paesaggio veneto, con la casa padronale, i rusticali, la torre colombara, la cappella, raccolti attorno al grande “selese” in cotto del primo Ottocento, tuttora integro e funzionale.
Il complesso è di antica origine e risale all’anno 1577, come testimonia la data incisa sulla torre colombara. Tracce di un precedente villaggio palafitticolo sono state rinvenute verso la fine dell’800 durante lo scavo di una torbiera.
La villa è un solido edificio settecentesco; le facciate, scandite da eleganti finestre contornate da profili in pietra, presentano mensole sagomate nel sottogronda e balconi con ringhiere in ferro battuto. L’interno presenta la struttura tipica della dimora padronale di campagna. La proprietà, già Bottagisio, fu acquistata dal nobile Antonio Pasini nel 1810 che la lasciò in eredità ai nipoti Fratta. Sul lato ovest si trova una bella chiesetta dedicata a S. Antonio di Padova, costruita in forme neoclassiche da Antonio Pasini nel 1821. L’oratorio divenne di uso pubblico nel1928 per dare la possibilità alle famiglie contadine dei dintorni di poter assistere alla messa festiva con più comodità.
Corte di Mondragon
“Mondragone era già anco… una contrada del comune di Lazise, ma separata in giurisdizione, e chiamavasi Curia o Corte di Mondragone…”: così Francesco Fontana delinea il piccolo borgo, ricco di storia, situato nella campagna ad oriente di Lazise.
Le sue origini risalgono al Medio Evo, quando, con tutta probabilità, rivestiva il duplice ruolo di centro di attività agricole e di amministrazione della giustizia. Dopo aver fatto parte della Fattoria Scaligera, con il dominio veneziano Mondragon fu donato, nel 1407, al Comune di Lazise al fine di ricompensare i “fedeli diletti… homini della terra di Lazisio” per la fedeltà dimostrata alla Repubblica di San Marco.
Attorno a questo centro rurale sono fiorite numerose tradizioni che ci parlano di tesori nascosti e di passaggi sotterranei, probabile testimonianza di antiche fortificazioni, attestate anche dai toponimi delle vicine località “Spadarini” e “Castello”. A ricordare questo passato ci resta la torre, simile ad altri edifici del XV-XVI secolo da cui si svilupparono alcuni complessi del nostro territorio: Saline, Praia, Palù dei Mori, Donzella, Colombare, Montinghel…
A poca distanza sorge la Corte, ora della famiglia Castelletti. Essa risale, nelle sue forme attuali, al 1760, data incisa sull’ingresso dell’edificio padronale, caratterizzato dalle cornici in pietra delle finestre e da un originale pavimento con terrazzo ”alla veneziana”, in una sala del pianterreno.
Villa La Bottona
Nella seconda metà dell’800 la scoperta del lago come luogo di villeggiatura spinse numerose famiglie della nobiltà e della borghesia veronesi ad edificare o ad ammodernare le proprie residenze estive lungo le rive o nell’entroterra gardesano. Rappresentanti a pieno titolo di quella élite politica e culturale che era stata la protagonista dell’unificazione italiana, queste famiglie per le loro dimore vollero ispirarsi al Medio Evo, l’età delle autonomie comunali, delle signorie, della nascita della lingua nazionale, oppure al Rinascimento, l’epoca del massimo splendore artistico per la nostra Penisola.
A Lazise sorgono negli ultimi decenni dell’800 numerose dimore padronali che uniscono temi desunti dal Romanico, dal Gotico oppure dal Rinascimento. Basti ricordare le torri e le merlature ghibelline che coronano le ville dei Cavazzocca alla Pergolana o dei Bernini a Lazise, oppure il castello dei Da Sacco e la villa Fumanelli a Colà, o ancora la villa Piatti Alberti a Pacengo, dove un recente restauro ha riportato alla luce la decorazione neo-medievale di villa Balladoro De Beni.
Uno degli esempi più compiuti di questo revival neo-medievale è rappresentato dalla villa “La Bottona”, che fu dei Taffarelli, dei Brognoligo, dei Barbaro. Il complesso, preceduto da un suggestivo viale di ippocastani, fu ristrutturato, a partire dal 1872, dal conte Girolamo Brognoligo con l’intento di trasformare la dimora di famiglia in un castello medievale, con cortili interni, torre, merlature ghibelline ed aperture a sesto acuto.
Il complesso venne così ad assumere la conformazione attuale; un insieme di edifici raccolti attorno a due cortili; il primo, a mezzogiorno, legato alla conduzione della campagna con i rustici, le abitazioni contadine, i magazzini; sul secondo, detto anche “la corte della magnolia”, suggestivo per la ricchezza del patrimonio arboreo, si affacciano gli edifici padronali. Il prospetto principale della villa, verso il lago, è quello che rispecchia maggiormente l’influsso neo-gotico; il settore centrale, leggermente arretrato rispetto alle ali laterali, si caratterizza per la doppia corona di merli ghibellini e per il grande arco a sesto acuto che mette in comunicazione la corte padronale con il grande giardino affacciato sul Garda. Anche la torre colombara, sul lato meridionale del complesso, venne alzata e trasformata in torre merlata per dare alla villa le sembianze di un maniero.
Il parco romantico, a nord della villa, si caratterizza per una vasta gamma di essenze pregiate, come il cedro, il cipresso, il leccio, raccolte intorno alla radura centrale. Gli interni della villa Bottona, perfettamente conservati, mantengono il fascino di una dimora ottocentesca, dove il succedersi delle generazioni ha portato a costanti arricchimenti nell’arredo e nelle decorazioni.
Villa La Bagatta
Tra Lazise e Pacengo, in posizione dominante sul lago, sorge villa La Bagatta, complesso appartenuto dapprima ai Bagatta, in seguito ai Murari della Corte Bra, ai Poggi, fino agli attuali proprietari, la famiglia Kriegg.
L’attuale configurazione dell’edificio risente della cultura sensibile all’età medievale e all’ oriente che ha accompagnato la scoperta del Garda come luogo di villeggiatura nella seconda metà del secolo scorso: Se nella vicina Bottona il conte Brognoligo ho voluto ricreare l’atmosfera del castello medievale, alla Bagatta Girolamo Murari della Corte Brà ha impresso all’edificio uno stile orientaleggiante. Due torri contribuiscono a vivacizzare il corpo padronale coronato da una decorazione e da pinnacoli che ricordano lo stile moresco. In origine l’esterno della villa era decorato con fasce bicolori, esplicito richiamo a molti edifici medievali del veronese. Davanti alla villa un prato degrada dolcemente verso il lago; ai lati, tra due quinte di alberi, spiccano i maestosi cedri del Libano.
A nord, isolata tra le viti e gli olivi, sorge la cappella settecentesca dedicata a S. Gaetano Thiene, edificata da Carlo Bagatta lungo l’antica strada che collegava Lazise a Pacengo. All’interno, un tempo ricco di tele di buona fattura, l’altare barocco custodisce una pala del veronese Edoardo Perini raffigurante la Vergine con i Bambino in atto di dettare la regola dell’Ordine Teatino a S. Gaetano.
Corte di Villa Montinghel
E’ una corte quadrangolare che riproduce intatto l’ambiente rurale di 100 anni fa, con il retro della villa padronale, l’abitazione dei contadini, le stalle, i fienili e i portici per il ricovero degli attrezzi agricoli; il cortile ha la pavimentazione con ciotoli e profili in pietra; al centro dell’aia il pozzo circolare per l’uso domestico e l’albio per abbeverare le bestie.
Tutt’intorno la campagna è coltivata a viti, ulivi e foraggi, mantenendo questo lembo di territorio intatto da interventi urbanistici. Si arriva alla corte percorrendo un lungo viale di ulivi, dominato dalla cinquecentesca torre di guardia.
Pacengo
La frazione di Pacengo sorge a 106 metri sul livello del mare e rsiedono 533 abitanti
E’ una frazione del Comune di Lazise, posta sulla sponda del lago a sud del capoluogo entrata a far parte del comune di Lazise durante la dominazione veneta. Questo piccolo centro abitato viene nominato per la prima volta in una pergamena del 1004 con il nome di Pacingus; l’etimologia del nome pare avere origine longobarda o germanica, probabilmente connesso al nome “Pacco”. Il paese dovette essere sia un importante centro preistorico, visto il rinvenimento di diversi oggetti antichi, che romano, considerato il ritrovo di fondamenta di edifici romani. Durante la prima guerra di indipendenza italiana il paese fu sede dello scontro tra austriaci e piemontesi e che vide i secondi vincitori, mentre qualche mese più tardi ospitò Ferdinando di Savoia, il quale stava ponendo l’assedio a Peschiera del Garda.
Nel paese, parrocchia dal 1526, è presente una chiesa realizzata tra il 1787 ed il 1792 su progetto di Leonardo Rossi. Gli interni furono decorati da Pio Piatti, mentre il marmoreo altare maggiore venne realizzato molto probabilmente dagli scultori Zoppi e Spiazzi.
Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista a Pacengo.
La chiesa attuale risale al 1792, su disegno dell’architetto Leonardo Rossi.
Presenta un facciata a tempio, scandita da quattro semilesene ioniche e separata del sagrato da un’elegante balaustra semicircolare. La decorazione interna è del Piatti, che ha realizzato le tele dei Quattro Evangelisti, della Natività e gli affreschi sulla Vita del Battista. L’altare maggiore, in marmi policromi è attribuibile ai maestri Zoppi e Spazzi
Villa De Beni
La villa fu edificata nelle vicinanze del castello medievale di Pacengo dalla famiglia Sagramoso già a partire dal XVI secolo, come starebbero a testimoniare la struttura delle cantine dove è presente la scritta “1551 Donna Sagramoso”.
Nel 1821 i Balladoro acquistarono l’intero complesso; tra le sue mura trascorse lunghi periodi l’etnografo Arrigo Balladoro dedicandosi alle ricerche sulle tradizioni popolari. Passata ai Camuzzoni, la villa fu acquistata in seguito dalla famiglia De Beni che tuttora la detiene.
Si tratta di una tipica costruzione veneta a pianta quadrata, composta dal piano nobile a cui si accede da una scalinata con balaustre. Il prospetto verso il lago subì rifacimenti neogotici nel corso del XIX secolo, mentre la facciata ad oriente ha mantenuto integre le decorazioni settecentesche, un elegante portale a tutto sesto, gli stemmi in pietra, l’originale coronamento nel settore centrale. L’interno presenta il tipico schema delle ville venete; un ampio salone attraversa l’intero edificio, ai lati si aprono le stanze di soggiorno e di rappresentanza.
L’ambiente esterno ha mantenuto intatte le sue caratteristiche originali; a oriente e a mezzogiorno si estende il parco romantico, ricco di essenze pregiate, con masse verdi che si alternano a radure e ad elementi decorativi. Ad occidente un lungo viale di olivi attraversa il brolo, coltivato a vigneto. A nord i rustici, con barchessa e selese, incorporano i resti dell’antico castello.
Villa Giuli
A sud di Pacengo, in località Mattarana, adagiata su di un terrazzo in riva al lago dal quale si gode l’intero panorama del basso Garda, si trova Villa Giuli. Costruita subito dopo la prima guerra mondiale da un’impresa locale su progetto dell’arch. Giovanni Salvi, isolata allora in mezzo alla campagna di proprietà dell’avv. Ferruccio Giuli.
essenze d’alto fusto quali platani, cedri del Libano, abeti, pioppi, palme ed un maestoso tasso. Caratteristica è la gronda del tetto, sostenuta da mensole in legno, che protegge una serie di decorazioni floreali e di pavoni. Di pregevole lavorazione sono anche le ringhiere dei balconi e dello scalone interno, opera del fabbro Vittorio Rosini di Pacengo.
Fra i tanti personaggi ospiti di questa villa, va senz’altro ricordato il santo don Giovanni Calabria, compagno di scuola e amico fraterno dell’avv. Giuli. In questo luogo tranquillo egli ha trascorso diversi periodi di vacanza, lasciando un registro con oltre 300 messe celebrate. All’interno della villa infatti è ricavato un oratorio dedicato alla Sacra Famiglia, dove sono conservati i paramenti e gli oggetti sacri usati anche da don Calabria.
Corte Fontana Fredda
Il territorio del Comune di Lazise è costellato da numerose case-torre, denominate “colombare”; tra le più antiche vanno ricordate quella di Casa Eusebia e quella di Mondragon che la tradizione identifica con la residenza dei Vicari di quell’antica comunità rurale.
Questi edifici iniziano a comparire tra il XIV e XV secolo, quando, con lo sviluppo delle attività agricole, essi svolgono la duplice funzione di dimora padronale, facilmente difendibile, e di ricovero dei colombi, preziosi non solo per la loro carne ma anche per il guano, destinato alla concimazione delle colture. Le colombare segnano il passaggio dal castello alla civiltà delle ville venete. Infatti, a partire dal XVI secolo, attorno a queste strutture si svilupperanno quei complessi padronali, quali le ville della nostra Regione, che uniscono all’attività agricola i luoghi reservati all’abitazione e all’otium del proprietario.
Colà
Colà, che entrò a far parte del comune di Lazise nel XIX secolo, è una frazione dell’entroterra posto sulle colline moreniche e immerso nel verde dei vigneti; essa viene nominata per la prima volta nel testamento di Engelberto del 28 maggio 861 con il nome di Colata, mentre in documenti successivi assume anche il nome di Colatha e Colada, probabilmente derivato dal latino collis.
Durante la prima guerra di indipendenza italiana il borgo venne occupato dalle truppe piemontesi, mentre durante la terza guerra d’indipendenza furono qui soccorsi numerosi soldati feriti durante la battaglia di Custoza.
Nel paese, parrocchia dal 1526, è presente la chiesa di San Giorgio Martire, realizzata tra il 1757 e il 1762 su emulazione della precedente cappella dedicata a Santa Maria, la quale era stata eretta nel XII secolo. Al suo interno sono presenti cinque altari in marmo e due tele di pregio realizzate da Agostino Ugolini, mentre in canonica è presente la Vergine e i santi Rocco e Sebastiano di Paolo Farinati.
Chiesa parrocchiale di San Giorgio Martire a Colà
Eretta in stile neoclassico nel 1762, ha preso il posto dell’antica cappella di Santa Maria, citata in documenti del XII e XIII secolo. Presenta 5 altari interni con alcune pale pregevoli, tra cui San Giorgio con la Vergine e l’Ultima Cena dell’Ugolini.
Madonna della Neve
Nei primi secoli del Medio Evo, al fine di favorire la cristianizzazione delle popolazioni rurali, si diffuse il sistema delle pievi costituito dalla chiesa plebana con fonte battesimale e canonica, dove risiede la comunità dei presbiteri sotto la guida di un arciprete. A queste chiese fa capo una rete di cappelle minori disseminato nel territorio. È il caso di Lazise, sede di un’antica ed importante pieve di cui resta la base della torre campanaria nel cimitero del capoluogo; questa chiesa era collegata a numerose cappelle rurali, come quelle dedicate ai santi Fermo e Rustico e a Faustino e Giovita, tutt’ora esistenti. Caso analogo riscontriamo a Colà dove la prima cappella si trovava ove attualmente sorge la chiesa della Madonna della Neve. Essa dipendeva dalla pieve di Sandrà, dedicata a S. Andrea – da cui il toponimo del paese – ed era intitolata a S. Giorgio martire. Fu sede della parrocchia fino alla metà del XVI secolo quando, come ricorda Giovanni Agostini, “assunse a dignità di chiesa parrocchiale, sotto il titolo di Santa Maria e S. Giorgio, l’antica chiesa dedicata alla Vergine che trovavasi dentro o presso il castrum ai piedi del quale si era andato formando il paese”. Con tutta probabilità questo trasferimento fu dettato da motivi di sicurezza e di maggior comodità per la popolazione, come era accaduto a Lazise, sempre nel corso del ’500, quando la sede parrocchiale dell’antica pieve fu trasferita presso la chiesa di S. Zeno, all’interno delle mura.
La perdita della dignità parrocchiale non significò per la chiesa di Colà l’oblio o, peggio, la distruzione. Essa diverrà il centro di una forte devozione mariana, sotto il titolo di Madonna della Neve che si festeggia il cinque di agosto per ricordare un fatto prodigioso legato alla costruzione della prima basilica occidentale in onore di Maria, costruita a Roma dopo il Concilio di Efeso del 431.
A partire dal XVII secolo la chiesa della Madonna della Neve viene ampliata ed arricchita di altari anche grazie alle donazioni di importanti famiglie come i Cipolla d’Arco, proprietari della vicina villa di Monteraso; alcuni membri di questa casata saranno sepolti proprio all’interno della chiesa. L’edificio, sano, costruito in posizione elevata lungo la strada che conduce a Sandrà, è preceduto da un suggestivo sagrato coronato da cipressi. La facciata a capanna conserva nel settore centrale un affresco della Vergine risalente al Novecento, mentre sull’angolo nord-orientale si eleva l’interessante campanile a vela a due fornici. La navata interna ha copertura a capriate; nel presbiterio voltato, l’altare marmoreo conserva l’effige della Madonna con il Bambino: si tratta di una statua lignea risalente al tardo Medioevo. Lungo la parete settentrionale è collocato l’altare del Crocifisso decorato con putti settecenteschi. Gli affreschi del presbiterio e della navata sono della prima metà del Novecento.
Villa dei Cedri – parco
Immerso in un meraviglioso parco romantico di 13 ettari, realizzato tra la fine del Settecento dai nobili Moscardo e l’Ottocento dai conti Miniscalchi, ricco di alberi secolari ed essenze rare, con villa seicentesca (Moscardo) e villa ottocentesca (Miniscalchi) disegnata dell’arch. Luigi Canonica, si trova un laghetto di 5000 mq con acqua termale che scaturisce dal sottosuolo in grandi quantità alla temperatura di 37°C. Il lago è attrezzato per idromassaggi di vario tipo, fontane ecc.; è illuminato di sera anche per la balneazione notturna; il ricambio dell’acqua è notevole: 50% al giorno. La villa presenta inoltre un interesse storico per i soggiorni di personaggi famosi: l’imperatore Carlo V nel 1530, Federico VI re di Danimarca e di Norvegia nel 1708, il generale Erwin Rommel nel 1943.
Corte Palù dei Mori
La corte si è sviluppata attorno ad una torre colombara, risalente al XVI secolo, in seguito alla bonifica di terreni paludosi, come testimonia il toponimo “palù”.
Fu degli Spolverini, famiglia di Fileno che, secondo la tradizione, proprio al Palù avrebbe compiuto misfatti ed angherie. Nel 1729 la corte viene acquistata dai Moro, da qui la dicitura “dei Mori”. Nell’800 la proprietà passa prima ai Termignoni, che completano l’opera di bonifica del fondo, e successivamente ai Bortolazzi, i quali proseguono nella valorizzazione della villa fino agli anni cinquanta quando, con la disgregazione della proprietà, inizia un lento degrado. Solo recentemente alcune parti sono state restaurate.
Il complesso si presenta scenograficamente al termine di una strada, un tempo fiancheggiata da ippocastani, che corre dritta tra i campi. Preceduto da un brolo su cui si aprono tre maestosi cancelli, l’edificio padronale, di forme tardosettecentesche, è nobilitato dal timpano e dalla balconata in ferro battuto.
Nella corte rurale, attorno al “selese”, si trovano edifici di epoche diverse, uno di questi conserva il “pozzo di Fileno”, all’interno di una torre cilindrica, probabile testimonianza di antiche forti- ficazioni. La cappella dedicata a S. Antonio, uno degli edifici sacri più belli del comune di Lazise, conservò quadri ed arredi fino agli anni ’60.
Il lento abbandono ha portato al crollo del tetto e alla perdita degli stucchi del soffitto; rimangono l’altare e i medaglioni in stucco. È urgente e necessaria l’opera di restauro per non perdere una delle rare testimonianze barocche del nostro territorio.
Corte-Boaria Da Sacco
La nobile famiglia Da Sacco è presente a Colà fin dal XIV secolo; la vasta proprietà che si estendeva attorno alla villa era coltivata dagli abitanti delle varie corti. La più vicina era la Boaria, così denominata probabilmente per la presenza di diverse paia di buoi.
Il nucleo più antico della costruzione era costituito dall’abitazione e dalla stalla con sopra il fienile, così come appare in una fotografia di Moritz Lotze databile 1880 circa. Verso la fine degli anni ’80 la contessa Eleonora Da Sacco iniziò il completamento della corte costruendo il portico ad ovest, la barchessa ed il muro di cinta sul lato est. Sul cancello posto all’ingresso della corte sono riprodotte le sue iniziali (E.S.= Eleonora Da Sacco) e la data probabile di fine lavori (1894). Nel 1909 Eleonora Da Sacco muore e non essendo sposata lascia le campagne in eredità ai figli del fratello Antonio, bisnonno dell’attuale proprietario. Di questo ampliamento, particolarmente interessante è la barchessa con le tre colonne di pietra in stile neoclassico di buona fattura, portanti la costruzione soprastante.
Dal 1928 la famiglia Bernardi abitò questa casa ed erano mezzadri dei Da Sacco: tante persone di Colà sicuramente ricorderanno i filò che si tenevano in questa corte durante la bella stagione o nella stalla durante il periodo freddo. Gli attuali sistemi di conduzione agricola hanno fatto sì che la Boaria non sia più funzionale alla campagna, cosicché la proprietà ne ha concesso in parte l’uso gratuito al Gruppo Alpini di Colà che dal 1983 ne cura con orgoglio la conservazione.